La tragedia accaduta davanti all'Isola del Giglio, suscita un senso di infinita tristezza. Non mi riferisco, tuttavia, al sentimento di pietà per le vittime, una manifestazione di sensibilità che dovrebbe essere naturale, spontanea, inevitabile davanti alla morte di un essere umano. Mi riferisco ad una sensazione che nasce da una riflessione più profonda su quanto accaduto. Solo marginalmente, vorrei accennare anche alla necessità di meditare sui nostri usi e costumi in fatto di "vacanza". E' vero che i gusti non si discutono ma, quanto meno, bisognerebbe domandarsi che senso ha vivere in uno spazio limitato, seppur ampio come quello di una supernave da crociera, a stretto contatto con altre 3.999 persone il cui tempo è scandito, per alcuni dalla giocondità artificiosa e dal desiderio indotto, per altri da ritmi di lavoro estenuanti e mal pagati.
Dicevo della tristezza: sembra quasi scontato affermare che quel piccolo mondo racchiuso su una nave da crociera, pare riflettere la vasta e complessa realtà del nostro Paese. Penso a quanto accaduto su quella nave, con i suoi passeggeri, l'equipaggio composto da individui più o meno specializzati nello svolgere attività necessarie alla vita di quell'imbarcazione, il personale cui è demandato il compito di coordinare e controllare le innumerevoli attività che vengono svolte sulla stessa e rifletto sul nostro presente, su quello che è accaduto e stiamo vivendo.
Chi ha destato maggiore indignazione per quella tragedia è il comandante della nave, reo di aver provocato l'incidente, di aver affrontato l'emergenza in modo sbagliato ma, soprattutto, di aver abbandonato la nave in piena emergenza. Tra i comportamenti condannati dalle regole della marineria, quest'ultimo è il più infame. I commenti che lo riguardano, inutile che li rammenti, sono stati impietosi anche se, e le indagini della magistratura lo accerteranno, è tutta la catena di comando che, nella svolgersi della tragedia, non ha funzionato. A parte singole eccezioni: l'eroe, celebrato nel Commissario di bordo rimasto sulla nave a soccorrere i passeggeri o nell'ufficiale della capitaneria di porto che ha affrontato l'emergenza ed un comandante impavido.
La "catena di comando": appunto, quanti anni sono che alla guida del nostro Paese c'è una catena di comando incapace, arruffona, spesso criminale, anche capace di atti di codardia spacciati per "senso di responsabilità" come recentemente accaduto? Quanti anni sono che, nel nostro Paese, i "dirigenti" sono tali perché amici degli amici, servi del potente di turno, marionette nelle mani del puparo e le cui uniche qualità sono l'incapacità, un alto senso del tornaconto personale, l'improvvisazione e, spesso, la vocazione criminale? Quanti anni sono che, sempre nel nostro Paese, viviamo di eroi, persone che per aver fatto il loro dovere, nulla più che aver fatto ciò per cui erano stati investiti del ruolo di "comandanti", sono morti? Gli eroi, l'esempio della normalità in un mondo di codardi.
Poi ci sono i "paesani", quelli che compaiono davanti alle telecamere per esprimere solidarietà al "comandante", senza cenno di pudore e rispetto per le vittime, il silenzio, srotolando perfino stiscioni come si fa allo stadio per sostenere la squadra del cuore, mentre ancora decine di persone risultano disperse e, quasi certamente, andranno ad ingrossare il numero dei morti nella tragedia.
Per quanti anni, nel nostro Paese, abbiamo assistito a scene simili, folle vocianti che sostenevano con convinzione e contro ogni ragionevole motivo il "comandante", reo di crimini per i quali qualsiasi altra persona sarebbe marcita in galera, incapace di guidare il Paese e di risolvere i problemi che lo assillavano, contornato di persone inette e spesso farabutte, dedito a farsi i fatti suoi, arruffone, pagliaccio, simbolo per eccellenza degli istinti più repressi del "popolino"? Lo sostenevano, nonostante il Paese affondasse.
Ed a proposito degli "istinti repressi", in questa storia non manca la donna del mistero, naturalmente una bella dell'est. Le donnine, a volte chiamate escort, il simbolo del potere del "capo". Non fa nulla se, poi, il capo le intrattiene nella plancia di comando di una nave o nei palazzi delle Istituzioni. Le folle vocianti lo sostengono, con invidia e gran voglia di emularlo.
E poi, e poi, e poi. Ce ne sarebbero ancora tante di riflessioni: i ricchi che non fanno sacrifici, i croceristi che si divertono ignorando i poveri, i poveri dell'equipaggio, i lavoratori mal pagati, sfruttati, precari, gli stranieri spesso, clandestini ancora più spesso, quelli destinati ai lavori più umili sempre. Il potenziale danno ambientale, un Paese il cui territorio sta franando, sempre più inquinato.
Cosa siamo diventati. Come abbiamo ridotto questo nostro Paese.